L’UMORISMO YIDDISH DI MONI OVADIA TRA SACRO E PROFANO

Gli esseri umani hanno inventato le nazioni e i re. Le une e gli altri non hanno recato tutti questi grandi benefici all’umanità, ma per qualche oscuro motivo le persone non smettono di crederci e i risultati molto spesso sono pessimi. Il correre dietro a un leader “forte” o presunto tale, non è una novità dei nostri tempi di sovranismi alla vaccinara. La storia ha visto l’alternarsi di figure tragiche che non avrebbero avuto fortuna come attori nemmeno nel più spericolato degli spettacoli surrealisti, eppure questi guitti hanno fatto proseliti, hanno mobilitato milioni di persone in nome dell’odio nei confronti di nemici creati dal nulla, magari persone che fino al giorno prima erano buoni vicini di casa. Moni Ovadia non ha peli sulla lingua quando racconta la sua visione del mondo, il potere e il suo abuso sono sempre stati i suoi bersagli preferiti. I nostri concittadini, pochi a onor del vero, ricorderanno il suo spettacolo estivo di 3 anni fa presso la Sala della Ragione che aveva come tema il razzismo e la segregazione nel sud profondo degli Stati Uniti e le lotte per i diritti civili. Quest’anno Ovadia è ritornato a parlare di Dio, come solo un ebreo agnostico è capace di fare: con ironia e rispetto, perché si, a dispetto di ciò che appare l’ebreo non è “obbligato” a credere, ma anche chi non crede lo fa a modo suo. In un momento del suo spettacolo “Dio ride” (Nish Koshe) l’attore riprende un racconto di Zavattini nel quale Dio si manifesta a un uomo e gli dice: “vengo da te, solo da te per farti sapere che non esisto”. Lungo e complesso il rapporto del popolo ebraico con la divinità e col patto che li lega. Il patto è forza ma è anche costrizione, soprattutto nel momento in cui si vorrebbe fare altro. La vicenda biblica del vitello d’oro – racconta l’attore – è esemplare in tal senso. Mosè ritornando con le tavole della Legge vede il suo popolo in adorazione dell’idolo che si è creato e le distrugge perché è ben cosciente del fatto che la Legge, ovvero il buon senso, nulla può contro una sfavillante ma inutile creazione di chi cerca facili scorciatoie esistenziali. Affrontare temi seri sorridendo non è facile e Ovadia, sempre sul filo del rasoio, lo fa in maniera impeccabile. Il potere non ama il riso e il ridicolo, quindi la risata, è ciò che il potere e soprattutto chi ne abusa teme di più. “Nish Koshe” diverte, fa sorridere e fa pensare e questo è già di per se, sovversivo. Lo spettacolo è tutt’altro che leggero perché riprende i fili del dramma che ha coinvolto gli ebrei nel 900, lo attualizza e lo proietta ai giorni nostri coi nuovi drammi e i nuovi muri che sorgono per dividere e per creare nemici. Muri fisici e muri virtuali, forse ancora più potenti ed efficaci dei primi. Per Ovadia i nazionalismi sono il male peggiore di questo periodo e non fa sconti a nessuno, nemmeno al governo dello Stato di Israele per la sua politica nei confronti dei palestinesi e la scena che chiude lo spettacolo, quando l’attore indossa la kefiah sopra la kippah vuole ricordare che prima delle nazioni e dei governi esistono le persone e fomentare la paura del diverso alla fine non potrà che provocare catastrofi. “Dio ride” è una evoluzione certamente più matura di “Oylem Goylem”, suo cavallo di battaglia da 25 anni. L’impostazione quasi cabarettistica di quello spettacolo è stata superata con una ricerca “spirituale” complessa ma la dinamicità dello spettacolo non ne risente grazie anche ai numerosi intermezzi musicali della sua Stage orchestra e la sua musica Klezmer. In questi giorni Moni Ovadia è impegnato con questa piece al Teatro Sociale di Brescia, città dove torna spesso per proporre le sue produzioni. Al termine del primo spettacolo Ovadia ha rivolto un indirizzo di saluto al pubblico ricordando tra l’altro che in questo momento l’Italia ha bisogno di forti investimenti sull’educazione e la formazione. La Stage orchestra ha invece offerto un piccolo cameo finale nel foyer del teatro eseguendo la versione originale klezmer di “Bella ciao” molto apprezzata dai presenti.