RADICI: LA CULTURA TALIAN NEL BRASILE MERIDIONALE

di Fancesco Cecconi

IN PRINCIPIO FU GARIBALDI E LA SUA “RIVOLUZIONE DEGLI STRACCIONI”, POI ARRIVARONO  I VENETI E DIEDERO VITA A UNA NUOVA LINGUA E A UNA NUOVA CULTURA: IL “TALIAN”.  STORIA DI UNA LINGUA UCCISA DALLA DITTATURA E RINATA NEL SUD DEL BRASILE GRAZIE A COLORO CHE NON HANNO DIMENTICATO LE PROPRIE RADICI. 

Santa Caterina e Rio Grande del sud sono gli Stati più meridionali della grande confederazione brasiliana. Al di la dei confini nazionali Cervantes prende il posto di Camoes e inizia l’area di influenza ispanica come stabilito dal trattato di Tordesillas del 1494. Il Brasile da cartolina, quello dominato dall’influenza Carioca e Paulista qui è lontanissimo e non è una semplice distanza chilometrica ma anche umana, sociale e culturale. Nel “decennio eroico” 1835-1845 i territori del sud si ribellarono allo stato centrale con quella che è passata alla storia come “Rivoluzione farroupilha” derivante dal termine spregiativo “farrapos”, ovvero straccioni, come venivano definiti dai soldati dell’Impero Brasiliano gli abitanti di quei luoghi. I due più importanti comandanti degli eserciti ribelli furono Bento Goncalves e l’eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi, che di li a poco sarebbe rientrato in Italia per combattere nelle nostre guerre di indipendenza. Alla fine i farrapos vennero sconfitti, il governo centrale riprese il controllo politico del territorio, ma l’orgoglio gaucho di queste terre non si è mai spento. Ai due condottieri sono stati dedicati i nomi di due città e nel settembre di ogni anno viene celebrata la “settimana farroupilha” per  ricordare le gesta del decennio eroico. Il sud del Brasile ha una orografia comune a molti paesaggi europei e anche il clima è abbastanza simile.

Le condizioni climatiche ne fanno il granaio del Brasile e non c’è da stupirsi che negli ultimi decenni del  1800 questa regione sia stata interessata da una intensa immigrazione europea, con tedeschi e italiani che hanno fondato diverse comunità che con il loro sviluppo hanno dato lavoro e benessere a molti di loro. L’immigrazione italiana proveniva principalmente dalle regioni del nord con forte prevalenza veneta e questo ha portato allo sviluppo di un linguaggio parlato del tutto peculiare: un idioma prevalentemente   veneto ma contaminato da quelli degli altri gruppi regionali e dal portoghese parlato in quelle regioni e utilizzato come lingua franca dagli italiani residenti in quei luoghi a partire dal 1875. Per gli immigrati italiani nel sud del Brasile il dialetto veneto è stato l’equivalente del toscano per l’unificazione linguistica della nostra penisola. Come normalmente accade, con il passare del tempo le peculiarità linguistiche dialettali tendono ad essere assimilate dalle culture  dominanti e questo è accaduto anche in questa Nazione-Continente che è il Brasile, nella quale la prevalenza culturale lusofona della classe dirigente è pressoché totale.

Di generazione in generazione il veneto brasiliano è stato sempre meno parlato e nel periodo dittatoriale di Getulio Vargas il suo utilizzo è stato addirittura proibito perché ritenuto antipatriottico e questa lingua ha corso il serio rischio di sparire. La resistenza culturale dei discendenti dei primi migranti veneti nel sud del Brasile ha tuttavia dato i suoi insperati frutti e nel 1989 si è svolto il “I Encontro de Escritores em Talian” durante il quale un gruppo di scrittori, linguisti e intellettuali che avevano questa comune ascendenza linguistica hanno codificato tecnicamente questo dialetto dotandolo di regole e strutture grammaticali e coniando il nome con il quale questo linguaggio è oggi conosciuto: TALIAN. In questo modo i discendenti dei migranti del XIX secolo hanno riscoperto le proprie origini e il talian ha iniziato una graduale ascesa al rango di “lingua nobile”, quella che da il senso di appartenenza,  per un gruppo non numeroso di brasiliani. Le statistiche parlano di 500.000 persone in 133 città su una popolazione totale di 209 milioni di abitanti. Una minoranza sparuta ma molto attiva, costantemente impegnata a promuovere questa lingua e mantenere ben salde le proprie origini italiane. Si, italiane, perché anche se la lingua parlata è fondamentalmente il veneto e qualche rigurgito autonomista di ispirazione padana è arrivato fin la, i discendenti dei veneti sentono profondamente il legame con l’Italia, le sue tradizioni e la sua cultura e appaiono ben poco interessati alle nostre diatribe da strapaese. Nanetto Pipetta, il giovane emigrato partito da Venezia per far fortuna in America, è il personaggio letterario di riferimento dei veneti riograndensi.

Creato negli anni venti dal caixense Aquiles Bernardi,  sembra seguire  il cammino intercontinentale del deamicisiano Marco, protagonista di “Dagli appennini alle ANDE”, solo che per lui il lieto fine non ci sarà. La via dell’emigrazione è fatta di sacrificio, fatica e rinunce, i migranti lo sanno bene e forse per questo per lungo tempo si sono identificati in Nanetto. Il personaggio è stato portato sulle scene dall’attore di teatro Pedro Parenti, una delle voci “classiche” della cultura talian, purtroppo prematuramente scomparso diversi anni fa. Teatro, iniziative culturali e multimediali hanno caratterizzato l’opera degli attivisti del talian e questo incessante lavoro ha portato finalmente, nel 2015, al riconoscimento ufficiale di questa lingua da parte del grande stato multietnico e multiculturale brasiliano, di cui questa comunità è uno dei tanti elementi fondanti. Un cenno particolare merita la città riograndense di Serafina Correa che ha riconosciuto il talian come lingua co-ufficiale accanto al portoghese. Negli ultimi anni sono state fondate diverse riviste che fanno riferimento alla cultura talian, mentre Radio Talian Brasil dalla città di Lajeado diffonde programmi in talian in modulazione di frequenza e sul web. La nostra città ha avuto la sua buona fetta di popolazione emigrata in America Latina tra gli anni 40 e gli anni 60, quindi in molti ricordano sulla propria pelle la fatica, i sacrifici e il dolore derivanti da questa scelta determinata dallo stato di necessità. Proprio per questo siamo in grado di comprendere questo pervicace attaccamento alle proprie radici e l’orgoglio di appartenere a una cultura nobile e antica pur essendo ormai italiani del nuovo mondo.