S. ANNA DI STAZZEMA 1944, IL TRIBUTO DI SANGUE ALLA FOLLIA DEL REICH MILLENARIO

La lapide coi nomi delle vittime della strage del 12 agosto 1944

 

Palazzo Cesi-Gaddi è un grande edificio nobiliare romano del XVI secolo situato all’angolo tra Via della Maschera d’oro e Via degli Acquasparta, non lontano dal Ponte Umberto I, nel centro di Roma. Dal 1940 il palazzo è la sede amministrativa della giustizia militare.  Nel 1994 in un oscuro sgabuzzino del palazzo viene rinvenuto un armadio metallico protetto da una grata e con le ante rivolte verso la parete. Al suo interno vengono ritrovati 695 fascicoli contenenti 2274 notizie di reato relativi ai crimini compiuti contro le popolazioni civili dalle truppe di occupazione tedesche tra il 1943 e il 1945. Tra la documentazione viene ritrovato un promemoria prodotto dallo Special Operations Executive dal titolo “Atrocities in Italy” con dati di prima mano raccolti da questo reparto investigativo dell’esercito britannico e consegnato nel dopoguerra alla magistratura italiana. Tutto questo materiale non viene però utilizzato per istruire processi a carico dei responsabili ma “archiviato provvisoriamente”, in parole povere insabbiato.  Il Procuratore Militare Antonino Intelisano che in quel momento si sta occupando del caso Priebke, si trova fra le mani la documentazione originale e le testimonianze sul sistematico uso del terrore da parte dei nazifascisti nel tentativo di resistere all’avanzata delle truppe alleate e alle operazioni di guerriglia delle bande partigiane del centro nord.

L’ossario

Sono circa 14.000 i civili italiani vittime delle rappresaglie nazifasciste: quella delle Fosse Ardeatine la più conosciuta ed eclatante, quella di Marzabotto con le sue 770 vittime ha il triste primato del tributo di sangue più alto, ma l’intero centro nord della penisola è stato teatro di questi atti barbarici, che, nonostante l’efferatezza, quasi mai hanno prodotto reali vantaggi nelle operazioni belliche. Uno dei fascicoli dell’armadio della vergogna riporta alla luce anche un altro episodio di inaudita barbarie: l’eccidio di S. Anna di Stazzema.

Il “monumento” a Kesserling di P. Calamandrei

Nel 1944 S.Anna è una piccola e tranquilla frazione di montagna del comune di Stazzema, situato al limite meridionale delle Alpi Apuane. Il piccolo borgo si è ripopolato perché molte persone, pensando di sfuggire agli orrori della guerra, vi hanno cercato e trovato rifugio. Il crollo della linea difensiva di Cassino ribalta però questo scenario di relativa tranquillità e l’Appennino Tosco-Emiliano diventa il nuovo punto nevralgico della linea di difesa tedesca disturbato dall’azione delle bande partigiane della zona. Nonostante ciò non si hanno notizie di azioni partigiane in quel settore, ma si decide ugualmente di fare terra bruciata come è accaduto a Forno il 13 giugno 1944.  Il 12 agosto, guidate da collaborazionisti italiani, tre compagnie della 16a SS-Panzergrenadier-Division “Reichsführer-SS circondano il borgo e le zone limitrofe e iniziano la mattanza della popolazione civile. Viene utilizzata ogni tipo d’ arma: fucili mitragliatori, bombe a mano, fuoco. L’azione è sistematica e capillare e sono ben pochi quelli che riescono a sfuggire alla morte. Alla fine i morti sono 560 tra i quali 130 bambini.

Nel 2004, grazie al dossier ritrovato a Palazzo Cesi-Gaddi, la procura militare di La Spezia istruisce il processo a carico degli ufficiali al comando delle operazioni di S.Anna. Sono tutti ultra ottuagenari e hanno vissuto indisturbati dal 1945 in poi. Delle dieci richieste di ergastolo tre arrivano alla condanna definitiva l’8 novembre 2007, ma a parte le condanne che ovviamente non verranno mai eseguite, la corte militare stabilisce definitivamente che la strage di S. Anna fu un atto terroristico vero e proprio che nulla aveva a che fare con le operazioni militari condotte in quel settore. Di diverso avviso la Procura di Stoccarda che nel 2012 archivia il caso in quanto non sarebbe stato più possibile per ogni imputato l’emissione di uno specifico atto d’accusa, ma, cosa ancor più grave, secondo la magistratura tedesca, non sarebbe possibile nemmeno stabilire se quei fatti siano stati  di matrice terroristica o legati a legittime azioni di contrasto alla guerra partigiana.

Il logo del Parco

Ma se i procedimenti giudiziari sono stati tardivi e insoddisfacenti la condanna storica e morale nei confronti dei mandanti, degli esecutori e dei complici di quella strage è stata unanime e senza appello e quello che fu l’orrore di una strage insensata e inutile è diventato nel corso degli anni un simbolo di pace, di riconciliazione e di speranza. Su iniziativa di Carlo Carli e altri deputati, con apposita legge n. 381 dell’11 dicembre 2000, nei luoghi della strage è stato istituito il PARCO DELLA PACE “con l’obiettivo di mantenere viva la memoria storica degli eventi ed educare le nuove generazioni ai valori della pace, della giustizia, della collaborazione e del rispetto fra i popoli e gli individui.” Nello scenario di questo parco si sono avuti importanti gesti di riconciliazione: il 21 luglio del 2020 l’attuale presidente tedesco Steinmaier ha conferito a Enrico Pieri e Ennio Mancini, tra i pochi sopravvissuti all’orrore del 12 agosto 1944,  l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Federale di Germania.

La sentenza di condanna del tribunale militare di La Spezia

Ogni anno migliaia di persone si recano in questo luogo per ricordare quegli avvenimenti e onorare le vittime della strage. Il nostro affezionato lettore Alfredo Cappellini è tra questi e dopo la sua recente visita ci ha inviato una serie di fotografie, che pubblichiamo volentieri e che ci hanno dato lo spunto per questo articolo. Grazie Alfredo.