Scienza e tecnologia

IL 20 LUGLIO 1969, PER LA PRIMA VOLTA, UN EQUIPAGGIO UMANO TOCCA IL SUOLO LUNARE. E’ IL CORONAMENTO DI UNA IMPRESA PENSATA QUASI DIECI ANNI PRIMA. NEIL ARMSTRONG PUO’ FREGIARSI DEL TITOLO DI “FIRST MAN” MA C’E’ UN ALTRO UOMO CHE IN VENTI ANNI DI LAVORO ALLA NASA E SEI MISSIONI NELLO SPAZIO HA L’INDISCUTIBILE PRIMATO DI ESSERE STATO IL PROTAGONISTA DI TUTTE LE FASI DELLA CORSA ALLO SPAZIO. QUESTA E’ LA STORIA DI JOHN YOUNG, L’UOMO DELLE STELLE, E DELLA SUA PERSONALE EPOPEA SPAZIALE.
di Francesco Cecconi
QUELLA NOTTE DI LUGLIO 1969
Il 20 luglio 1969 gli astronauti Armstrong e Aldrin, a bordo del modulo lunare LM atterrano sulla luna mentre il “romano” Collins rimane in orbita lunare, in solitaria, sulla navicella Apollo 11. E’ il coronamento di un ambizioso programma spaziale iniziato dal governo degli Stati Uniti verso la fine degli anni 50 finalizzato a contrastare i successi spaziali dei sovietici che per primi hanno mandato in orbita un satellite artificiale, lo Sputnik e un uomo, il maggiore Yuri Gagarin. Lo shock provocato da queste imprese nell’ opinione pubblica e nel governo è enorme. Come in altri comparti della Guerra Fredda é la competizione politica e militare con l’Unione Sovietica a spingere le Amministrazioni statunitensi di quegli anni a dare una svolta al programma spaziale americano che nel corso degli anni 50, disperso in vari segmenti non comunicanti tra loro, ha registrato diversi fallimenti e un sostanziale stallo. I programmi Vanguard e Pioneer sono caratterizzati da una serie di imbarazzanti insuccessi che portano alla decisione di creare una unica agenzia governativa che gestisca l’intero programma spaziale.

IL NATIONAL AERONAUTICS AND SPACE ACT
Il 29 luglio 1958 il Presidente Eisenhower firma il National Aeronautics and Space Act, la legge fondativa della NASA, National Aeronautics and Space Administration. Una svolta decisiva si ha con la presidenza di John F. Kennedy che nel suo famoso appello alla nazione del 12 settembre 1962 pronuncia la celebre frase “Scegliamo di andare sulla Luna in questo decennio e fare le altre cose, non perché sono facili, ma perché sono difficili; perché quell’obiettivo servirà a organizzare e misurare il meglio delle nostre energie e capacità, perché quella sfida è una sfida che siamo disposti ad accettare, una che non siamo disposti a rimandare e una che intendiamo vincere, e anche le altre.”

LA SFIDA DI KENNEDY
Da grande comunicatore quale è Kennedy riesce a dare all’opinione pubblica quello scossone necessario per far digerire all’americano medio le enormi spese di denaro pubblico necessarie a realizzare l’impresa e l’ex “nemico” Werner Von Braun già padre della V2, il razzo bomba di Hitler, messo a capo del team che avrebbe realizzato le varie versioni del Saturn, il vettore che avrebbe permesso le missioni Apollo. Già all’epoca i dubbi e le resistenze nei confronti di questo tipo di spese non mancano. Col senno di poi possiamo dire che gli investimenti in tecnologia spaziale effettuati in quel decennio hanno avuto ricadute positive a livello finanziario e tecnologico anche in ambito civile. Molti degli oggetti e degli strumenti di uso comune che fanno parte della nostra vita quotidiana sono stati sviluppati e commercializzati a partire dai programmi spaziali del secolo scorso.

SUOR MARY JACUNDA E L’INGEGNER STUHLINGER
Nel 1970 Mary Jacunda suora missionaria nello Zambia, invia alla NASA una lettera, poi diventata virale, diremmo oggi, nella quale si chiede conto di spese cosi ingenti per la corsa allo spazio a fronte di milioni di persone alle prese con una quotidianità ai limiti della sopravvivenza. I responsabili della comunicazione dell’agenzia spaziale non si lasciano sfuggire l’occasione per fare un po’ di propaganda e diffondono a livello planetario la risposta, a firma dell’allora direttore scientifico della NASA Ernst Stuhlinger (tedesco come Von Braun) intitolata “Perché esplorare lo spazio ?”. Nella lettera, se pur con toni a volte condiscendenti nei confronti di una persona che ogni giorno deve confrontarsi con problemi legati alla mera sopravvivenza di tanta gente, viene spiegato che la ricerca legata all’esplorazione spaziale avrebbe avuto ricadute positive sulla qualità della vita di molta gente. Ragionamento corretto in linea di principio ma di ben scarsa soddisfazione per gente che giornalmente, a malapena, riesce a mettere insieme dei pasti decenti per se e la propria famiglia. Questa risposta è diventata negli anni una specie di programma ideologico e utilizzato per promuovere il lavoro dell’agenzia.

DALLA TERRA ALLA LUNA
Ovviamente non si arriva sulla Luna semplicemente sparando una ogiva da un enorme cannone, come ipotizzato da Jules Verne nel suo romanzo “Dalla Terra alla Luna”, che pure ha previsto, con un secolo di anticipo, più di qualche aspetto poi rivelatosi reale dei viaggi nello spazio. L’impresa coinvolge la politica, le strutture militari e l’apparato industriale degli Stati Uniti ben felice di ricevere appalti e commesse per miliardi di dollari. Le persone coinvolte a vari livelli nel programma sono state circa 400.000, le aziende circa 20.000, con una ricaduta occupazionale ma anche una spesa del bilancio federale facilmente immaginabili.

L’ASTRONAUTA, FIGURA MITICA DEGLI ANNI 60
In tutto ciò la figura più mitica, romantica e coinvolgente è quella dell’astronauta. E’ lui in definitiva, che con la sua faccia, i suoi gesti, le sue parole, nel bene e nel male, è il volto della missione. E di volti sovrapposti, nella corsa allo spazio, ce ne sono tanti: sicuramente quelli che sulla Luna ci sono arrivati per primi , quelli che sono ritornati per il rotto della cuffia come l’equipaggio di Apollo 13 e anche quelli che non ce l’hanno fatta come Grissom (doveva essere lui il primo uomo sulla Luna), White e Chaffee morti nel disastro a terra di Apollo 1. Tra questi volti però c’è n’è uno in particolare che ritroviamo in tutti i programmi spaziali americani, dal programma Gemini allo Shuttle, passando ovviamente per il programma Apollo, il suo nome è John Watts Young.

JOHN WATTS YOUNG, UN ASTRONAUTA PER TUTTE LE STAGIONI
Gran parte degli astronauti selezionati per le missioni spaziali degli anni 60 ha iniziato la propria carriera come pilota collaudatore e John Young non fa eccezione. Dopo aver studiato tecnica del volo presso il Georgia Institute of Technology, nel 1952 si arruola in Marina come ufficiale di artiglieria. Solo in seguito inizia a volare frequentando la scuola per piloti collaudatori della marina di Pax River. “Era il paradiso dei piloti” ricorda John Young nella sua autobiografia “Forever Young” scritta a quattro mani con James R. Hansen e pubblicata in Italia dalla Casa Editrice Cartabianca. “Volavo anche su tre aerei diversi in un solo giorno. Oggi siamo abbastanza saggi da evitare di fare cose del genere. Ma allora ci credevamo troppo intelligenti per pensare al nostro stesso bene. “. Inserito nel progetto “High Jump”, a bordo del Phamton II della McDonnell ottiene due record di velocità davvero impressionanti per l’epoca. La sua abilità ai comandi e la scrupolosa attenzione per ogni minimo dettaglio tecnico ne fanno uno dei più validi e apprezzati piloti collaudatori del tempo. La maniacale attenzione per ogni aspetto della sicurezza in volo costituisce la cifra portante di tutta la sua carriera come pilota e come astronauta.

IL PROGRAMMA GEMINI
Mentre Young collauda aerei per la Marina, la NASA è in piena fase di reclutamento astronauti. E’ stato già selezionato il primo gruppo di sette elementi che dovranno partecipare alle missioni spaziali. Del gruppo fanno parte anche Alan Shepard e John Glenn, i primi due americani nello spazio. Nel settembre del 1962 ai sette si aggiunge un altro gruppo di nove del quale oltre a Young fa parte il futuro “first man” Neil Armstrong e il primo civile, il pilota collaudatore per la General Electric Elliot See morto tragicamente 4 anni dopo in un incidente aereo durante un volo di trasferimento. “Era l’inizio del settembre 1962” racconta Young “e avevo appena accettato di diventare un membro del secondo gruppo di astronauti americani. Deke Slayton, uno degli “original seven” del progetto Mercury e a capo del corpo degli astronauti, mi disse che avrei potuto dirlo a mia moglie, ma che a parte lei dovevo mantenere riservata la notizia”.
I “sette originali” è il nome dato dalla stampa al primo gruppo di astronauti reclutato dalla NASA, quello di Young, con non molta originalità viene definito come i “successivi nove”. Sono queste 16 persone la punta dell’iceberg dell’ambizioso programma Gemini che servirà come fase preparatoria per il programma Apollo che dovrà trasportare i primi esseri umani sul nostro satellite. I problemi da affrontare a livello teorico e pratico sono tanti e il tempo stringe visto che anche i sovietici, avendo come capo progettista Sergej Pavlovic Korolèv, ingegno non secondo rispetto a quello di Von Braun, come stanno a dimostrare i successi fin qui ottenuti nei confronti degli americani, stanno lavorando allo stesso obbiettivo
Anche qui i sovietici appaiono in vantaggio. E’ dal 1959 che stanno lanciando sonde automatiche verso la Luna, alla fine del programma, nel 1976, saranno oltre 30, tra riuscite e fallite, le missioni dirette verso il nostro satellite. Purtroppo per i sovietici Korolev viene a mancare il 14 gennaio 1966, tre settimane prima dell’atterraggio di Luna 9 sul suolo lunare avvenuto con successo il 3 febbraio 1966. E’ un duro colpo per il programma sovietico che verrà definitivamente abbandonato dopo il fallimento della sperimentazione del vettore N1, l’equivalente sovietico del Saturn di Von Braun. Il programma Gemini si articola in 12 lanci, i primi due senza equipaggio, tra il 1964 e il 1966. Questi voli hanno lo scopo di testare uomini e mezzi, provare e riprovare tutte quelle manovre necessarie alle missioni Apollo: dai rendez-vous nello spazio alle attività extra veicolari. Anche in questo i sovietici sono arrivati primi: il cosmonauta Aleksej Leonov era uscito dall’abitacolo della Voschod 2 il 18 marzo 1965 mentre Ed White ripete l’impresa il 3 giugno dello stesso anno nel corso della missione Gemini 4.

IL PANINO SPAZIALE
John Young partecipa a due missioni Gemini: la 3 e la 10. Gemini 3, ribattezzata “Molly Brown” dal comandante di missione Virgil Grissom, serve a testare il vettore Titan II, antenato del Saturn e i congegni di pilotaggio, ma la missione viene ricordata soprattutto per le polemiche provocate dall’episodio del panino nello spazio. Tra gli scopi della missione c’è anche quello di testare la specifica alimentazione studiata per le missioni spaziali ma a un certo punto, davanti a uno stupefatto Grissom, John Young tira fuori un panino di carne salata nascosto all’interno della tutta spaziale prima della partenza, lo spezza e ne offre una parte al comandante. L’abitacolo, in assenza di gravità, si riempie di briciole fluttuanti nel vuoto con il rischio concreto che vadano a infilarsi nelle fessure delle strumentazioni di bordo provocando danni alla navicella. I due comprendono di averla fatta grossa e sospendono questa alimentazione “alternativa”. Negli anni successivi questo episodio verrà ricordato come un aneddoto umoristico ma al momento i responsabili della NASA non la prendono per niente bene e un paio di membri del congresso arrivano a presentare interrogazioni parlamentari sul panino spaziale. La missione è comunque un successo, gli obbiettivi prefissati vengono raggiunti contribuendo ad ulteriori passi in avanti del programma Gemini.

GEMINI 10 E LA HASSELBLAD PERSA NELLO SPAZIO
Alle 17.20 del 18 luglio 1966, con il programma Gemini giunto al suo decimo lancio, Young è di nuovo pronto sulla rampa di lancio di Cape Kennedy, questa volta in coppia con Michael Collins. C’è da testare ancora una volta il meccanismo di aggancio in orbita con un satellite artificiale, l’Agena GATV-10, lanciato in orbita un paio d’ore prima. Nel programma Apollo una manovra equivalente si renderà necessaria per agganciare in orbita il modulo lunare LM. I precedenti non sono stati incoraggianti. Gemini 8 dopo un aggancio perfettamente riuscito, a causa di un corto circuito che blocca una valvola di un piccolo propulsore, inizia una rotazione incontrollata che rischia di distruggere la navicella. Sono il sangue freddo e la preparazione di Neil Armstrong, a capo di quella missione, a risolvere la difficile situazione. La rotazione viene bloccata, la navicella stabilizzata, ma a scanso di ulteriori complicazioni la missione viene interrotta dopo dieci ore e Gemini 8 viene fatta rientrare sulla terra. Anche Gemini 9 va incontro al fallimento. Questa volta non si riesce nemmeno ad agganciare il bersaglio.
A causa di questi ben poco incoraggianti precedenti sulla missione numero 10 e il suo equipaggio grava un pesante bagaglio di responsabilità e attenzione. Questa volta si tratta di agganciare ben due satelliti, quello lanciato appositamente per questa missione e l’Agena spedito in orbita per Gemini 8. L’inizio non è dei più promettenti. Un iniziale errore di allineamento delle orbite dei due oggetti provoca un eccessivo consumo del carburante utilizzato per la correzione delle traiettorie ma l’aggancio viene eseguito senza problemi. Per ovviare alla carenza di carburante viene utilizzata l’energia fornita dal satellite agganciato e questo, sette ore dopo, consentirà il rendez-vous anche con il secondo satellite. E’ la prima volta che si ricorre a questa manovra e questo sarà molto utile, qualche anno dopo, durante l’emergenza di Apollo 13. Nel corso della missione Collins effettua anche attività extra veicolare ma al suo rientro all’interno della navicella si rende conto di aver perso nello spazio la Hasselblad utilizzata per le foto di missione. La missione è quindi coronata da un grande successo, consolidato con le ultime due missioni del programma che daranno il via all’avventura umana, tecnica e scientifica del programma Apollo.

APOLLO 10, A UN PASSO DALLA LUNA
Il 18 maggio 1969 tutto è pronto per la prova generale dello sbarco sulla luna. Il progetto Apollo è arrivato alla missione numero dieci. All’interno della navicella troviamo ancora una volta John Young affiancato da Thomas Stafford e Eugene Cernan. Lo scopo della missione è il test definitivo sull’affidabilità sia in discesa che risalita del modulo lunare LM. E’ l’ultima fase del programma Apollo che però è iniziata nel peggiore dei modi. Il 27 gennaio 1967, la navicella AS-204 poi ribattezzata Apollo 1, durante una serie di test a terra prende fuoco. L’atmosfera della navicella è satura di ossigeno puro che alimenta l’incendio e i tre astronauti al suo interno non hanno scampo. E’ il giorno più nero della NASA che perde tre dei suoi astronauti più esperti, compreso quel Virgil Grissom al momento il candidato più accreditato come first man sulla Luna.
Il disastro e le relative inchieste bloccano il programma Apollo che sospende i voli con equipaggio fino all’accertamento e alla risoluzione dei problemi che lo hanno provocato. Apollo 7 con i suoi test in orbita bassa segna il ritorno degli astronauti americani nello spazio. In questa missione viene sperimentata per la prima volta la trasmissione di immagini televisive in diretta dallo spazio. La vera svolta delle missioni Apollo si ha nei giorni di Natale del 1968 quando Frank Borman, Jim Lovell e William Anders a bordo dell’Apollo 8 sfuggono alla forza di gravità terrestre e si immettono in un’orbita lunare. Per la prima volta occhi umani possono osservare il pianeta terra nella sua interezza. La fotografia della terra che sorge scattata da William Anders è diventata la più iconica, se non addirittura il simbolo, dell’intero XX secolo.
Ancora una prova dei sistemi in orbita bassa con la missione numero 9 e nel volo successivo tocca a Stafford e Cernan, con il test dell’LM, a sfiorare la Luna, arrivare a poco più di 14 Km dalla superficie del satellite, dopo un viaggio di 380.000 Km, monitorare il sito di atterraggio previsto per l’Apollo 11 e non poterlo toccare. E’ fin troppo facile comprendere lo stato d’animo dei due astronauti in quei momenti. In quella occasione è Young il primo uomo a rimanere completamente solo nello spazio durante il periodo di volo dell’LM. Non tutto nella risalita fila liscio. “Snoopy”, cosi è stato ribattezzato il modulo lunare, al momento della risalita verso “Charlie Brown”, il modulo di comando con a bordo Young, inizia a vorticare in maniera preoccupante. Alla rotazione si aggiunge anche un serio beccheggio che mette il veicolo e l’equipaggio in serio pericolo. Young è costretto a modificare l’orbita del modulo di comando per consentire all’LM un eventuale aggancio d’emergenza. Alla fine gli astronauti riescono a risolvere il problema derivante da un malfunzionamento di un giroscopio ed effettuare correttamente la manovra d’aggancio con “Charlie Brown”. Anche questa missione è riuscita- A questo punto tutto è pronto per il gran finale: lo storico sbarco sulla Luna del 20 luglio 1969.

APOLLO 16 E IL GRAND PRIX LUNARE
A dimostrazione della caducità delle cose umane e di come un avvenimento epocale possa essere ben presto messo da parte per noia, assuefazione o problemi di più immediata contingenza, dopo il “buona la prima” di Apollo 11 le repliche non avranno più lo stesso successo di pubblico e di critica, anzi, nell’opinione pubblica inizia a farsi strada l’idea che i soldi pubblici destinate a queste imprese possano essere destinati ad altro. Non dimentichiamo che mentre gli Stati Uniti sono impegnati nella corsa allo spazio contro l’Unione Sovietica, altre importanti risorse finanziarie e soprattutto umane sono assorbite dalla lunga guerra in Vietnam, che l’intero Paese è attraversato da conflitti sociali e razziali e che le contestazioni del 68 hanno radicalizzato la vita politica e sociale della nazione. Gli anni ’60 sono stati forse troppo “effervescenti” e forse é arrivato il momento della “normalizzazione”.
A parte il drammatico incidente di Apollo 13 dell’aprile 1970 che risveglia per qualche tempo l’attenzione dell’opinione pubblica, le missioni lunari Apollo, che pur propongono sviluppi tecnici sempre più innovativi, proseguono senza suscitare entusiasmo o interesse presso la gente comune. Con la missione di Apollo 15 debutta il rover lunare, il primo veicolo di terra operativo al di fuori del nostro pianeta. Il veicolo, costruito dalla Boeing e dalla General Motors, dispone di quattro ruote motrici alimentate elettricamente e si guida con una cloche. La massima velocità raggiungibile è di circa 13 Km/h ma la velocità operativa è di circa 4-5 Km/h. Il veicolo consente di spostarsi a distanze maggiori rispetto al punto di atterraggio e la raccolta di cospicue quantità di campioni geologici destinati agli scienziati una volta riportati sulla Terra. Questo mezzo, utilizzato in tutte le ultime spedizioni lunari, è in dotazione anche all’Apollo 16 che inizia la sua missione il 16 aprile 1972.
Per John Young è la quarta missione nello spazio e questa volta è lui il comandante. Ad accompagnarlo nella missione ci sono Charles Duke che scenderà con lui sulla Luna e Ken Mattingly. Il 21 aprile 1972 Young tocca il suolo lunare sugli Altipiani Descartes, è il nono uomo a mettere piede sul satellite. “In verità” racconta Young “camminare sulla Luna non era una sensazione cosi strana. Sulla Terra la tuta e lo zaino pesavano 88 Kg, ma sulla Luna, a un sesto della gravità, il mio corpo e il peso che mi portavo addosso sembravano assolutamente normali e gestibili agevolmente”. Grazie all’esperienza accumulata nelle varie missioni le attività extra veicolari sono aumentate considerevolmente e per gli astronauti è un vero tour de force effettuare tutti gli esperimenti e le attività programmate.
Una di esse riguarda proprio la “tenuta di strada” del rover che deve essere testato alla massima velocità possibile. Young lancia il rover alla velocità di 10 Km/h con curve e controcurve. Un vero e proprio rally considerando le condizioni operative. Il veicolo risulta abbastanza aderente al terreno e supera anche il test di velocità. “A quel punto concludemmo il Grand Prix” commenta Young che nelle comunicazioni al centro di controllo di Huston aggiunge: “Ho molta fiducia nella stabilità di questo aggeggio”. La quantità di dati, esperimenti e materiale lunare riportato dalla missione sono enormi, ciononostante siamo quasi alla fine dell’epopea del programma Apollo. In quel momento nessuno sospetta che quella sia la penultima missione in programma, oltretutto proprio in quei giorni il Congresso approva lo stanziamento di nuovi fondi per i programmi spaziali americani, ma nel giro di poco tempo la situazione è destinata a cambiare radicalmente. Il 7 dicembre dello stesso anno viene lanciata verso la Luna la navicella Apollo 17, sarà l’ultima missione umana sul satellite perché a causa dei tagli di budget le ultime tre missioni Apollo previste dal programma non avranno luogo.

FOREVER YOUNG
Finita la gara spaziale con l’Unione Sovietica, l’esplorazione spaziale si da altri obbiettivi. Le attività umane si concentrano sulle orbite basse e le due superpotenze, nonostante la guerra fredda sia ancora in pieno svolgimento, iniziano addirittura a collaborare a un comune programma di ricerca spaziale. Il rendez-vous in orbita terrestre tra una navicella Apollo americana e una Soyuz sovietica è uno dei momenti più spettacolari nella corsa allo spazio, mentre per quanto riguarda l’esplorazione dello spazio profondo ci si affida a sonde automatiche come le due Voyager, destinate addirittura ad uscire dal sistema solare.
Per John Young, comandante dell’Apollo 16, potrebbe essere la degna conclusione di una grande carriera, lo ritroviamo invece dieci anni dopo al comando dell’STS-1, la prima missione del programma Shuttle e nel 1983 al comando dell’STS-9, unico astronauta ad aver partecipato a tutte le fasi dell’esplorazione spaziale di quel fantastico ventennio. John Young ci ha lasciato nel gennaio 2018 all’età di 88 anni. Nel 2012 insieme al prof. James R. Hansen, già autore di “First man” la biografia di Neil Armstrong, ha raccontato la propria vita nel libro “Forever Young” tradotto e pubblicato in Italia da “Cartabianca” solo dieci anni dopo. E’ un libro che scorre come un romanzo ma che non lesina particolari tecnici che per i profani come il sottoscritto necessitano di ulteriori approfondimenti esterni per essere pienamente compresi. Le citazioni di Young riportate in questo articolo sono tratte proprio da questo libro. A distanza di mezzo secolo dagli avvenimenti narrati è avvilente constatare lo stato di degrado culturale e psicologico di una consistente ma rumorosa minoranza di opinione pubblica, antiscientifica e complottista che diffonde falsità sull’esplorazione spaziale sui social media che ne amplificano a dismisura la portata. Purtroppo per costoro non verranno mai stampati abbastanza libri in grado di trarli fuori da cotanto degrado.


